Editoriale del numero 88 de "Il Canguro"

Ottobre – Dicembre 1998

Lettera aperta dell'ANEA al Presidente del Consiglio On. Massimo D'Alema

 

Signor Presidente,
l'accordo bilaterale italo-australiano di sicurezza sociale, rinegoziato e firmato dai due governi nel settembre 1993, si trova a tutt'oggi inapplicabile per l'esclusiva ragione che ad esso manca la necessaria ratifica parlamentare. Notiamo che Canberra, da parte sua, ha ratificato quell'accordo nel giro di soli tre mesi dalla firma (dicembre 1993); Roma, dopo oltre cinque anni, non l'ha ancora fatto, per cui il parlamento italiano è l'unico responsabile e colpevole dell'attesa che affligge i pensionati ex emigrati australiani residenti in Italia e quelli italiani residenti in Australia.
A Roma ci sono voluti quasi quattro anni perché un governo presentasse al parlamento un disegno di legge per la ratifica di un accordo che il Senato ha concesso dopo qualche mese (giugno 1997) e che la Camera dei deputati tiene sotto sequestro in qualche cassetto di commissione da ormai un anno e mezzo. E non è che in questi anni alcune associazioni, come la nostra e patronati degli italiani nel mondo, e lo stesso CGIE, non abbiano cercato di smuovere il carrozzone, sollecitando partiti e uomini politici.
In oltre cinque anni la strada che ha potuto compiere il povero disegno di legge governativo è quella che intercorre fra il Palazzo che Lei ora occupa, Signor Presidente, Palazzo Madama e Palazzo di Montecitorio. Noi dell'ANEA, invece (ma credo anche altre organizzazioni, soprattutto quelle libere, non partitiche) ne abbiamo percorsa tanta da non riuscire a quantificare, e, come si vede, con magrissimi risultati. Sfiduciati (forse sarebbe meglio dire "esasperati"), siamo perfino ricorsi a Canberra (7 aprile scorso) e chiesto un incontro diretto con il sottosegretario per la Sicurezza Sociale (Sen. Tambling) e con il ministro per l'Immigrazione ed il Multiculturalismo (On. Ruddock), i quali ci hanno accolti ed ascoltati anche su questo argomento. A loro abbiamo chiesto (nascondendo i nostri sentimenti di vergogna e di disgusto nei confronti dei nostri politici politicanti) di vedere se, di fronte all'immobilità di Roma, il governo australiano non potesse lui intervenire presso quello italiano a questo proposito, anche per rendere più agibile e giusta l'implementazione dei suoi stessi compiti dettatigli dall'accordo bilaterale.
Non Le nascondiamo, Signor Presidente, che la mossa ci sembrava un po' infantile, ma ci hanno incoraggiato le ottime, calde e costanti relazioni che da sempre intercorrono tra le istituzioni australiane, i loro uomini e noi, per cui ci si può permettere anche delle ingenuità. Sta di fatto che, puntualmente, come sempre, gli amici di Canberra hanno avuto modo di accontentarci in occasione della visita in Australia del sottosegretario alla Difesa Brutti nella prima metà dell'agosto scorso, se non andiamo errati. Le autorità australiane hanno sollecitato l'onorevole nel merito e non sappiamo quale effetto abbia sortito a Roma la sollecitazione; speriamo, anzi, non sia stato quello di un'indebita ingerenza australiana negli affari italiani. D'altra parte l'Australia è bloccata nel fare il proprio dovere proprio dall'Italia.
Ci consenta, onorevole D'Alema, un'ultima considerazione che non vorremmo fosse considerata soltanto provocatoria, perché sgorga, sinceramente, dall'essere noi associati in buona parte emigrati o ex emigrati in Australia, in grado quindi di capire bene le due sponde. A Roma si gestiscono gli interessi comuni di circa 58 milioni di persone; a Canberra si gestiscono quelli di una comunità di circa 18 milioni. Non è, creda, che Canberra sia meno oberata di Roma, come dimostrano in proporzione il numero dei gestori della cosa pubblica dell'una e dell'altra entità. Il problema sta nella concezione e nella gestione della democrazia nei due paesi: a Canberra prevale il concetto e l'azione di una democrazia di popolo, a Roma, forse, ha il sopravvento la democrazia di clan, dove il popolo c'entra molto meno e deve quindi, nel nostro caso come in tantissimi altri, attendere anni perché qualcuno fattivamente lo ascolti.
Ci dia, Signor Presidente, un segno contrario all'andazzo dei tempi romani ai quali Lei appartiene fin da ragazzo. Cerchi, per favore, di toglierci il senso di vergogna e di disgusto che ci opprime nella vita quotidiana e nelle nostre relazioni con democrazie sicuramente più compiute della nostra.
Tanto abbiamo decise di dirLe nel corso della riunione del Consiglio Nazionale dell'ANEA di fine 1998.
RingraziandoLa vivamente per l'attenzione e per la pazienza con la quale ci ha letto, La salutiamo con molta cordialità.

Dr. Aldo Lorigiola
Presidente Nazionale

Rubano (Padova), 5 gennaio 1999